Nel disturbo d’ansia, il difetto di elaborazione dell’informazione, causa della vulnerabilità e della persistenza dell’ansia stessa, può essere visto da un lato come una preoccupazione o “fissazione” relativa al concetto di pericolo dall’altro come una sottovalutazione delle capacità individuali di farvi fronte. La tematica del pericolo si estrinseca nel contenuto degli schemi ansiosi (assunzioni e convinzioni) e nel contenuto dei pensieri automatici negativi.
La sovrastima del pericolo e la sottostima delle capacità di fronteggiarlo riflettono nei disturbi d’ansia l’attivazione dei cosiddetti “schemi di pericolo”: “il nodo del disturbo degli stati d’ansia non coinvolge il sistema affettivo, come si è portati a credere, ma gli schemi cognitivi connessi alla sensazione di pericolo, a causa dei quali la realtà esterna viene vissuta come estremamente pericolosa e il proprio sé come estremamente vulnerabile” (Beck, 1985, p. 192).
Una volta attivata la valutazione del pericolo, si crea una sorta di circolo vizioso che rinforza le manifestazioni d’ansia. I sintomi ansiosi sono essi stessi, infatti, una fonte di minaccia: per esempio, possono condizionare il comportamento dell’individuo ed essere interpretati come segnali dell’esistenza di un grave disturbo fisico o psicologico. Questi effetti accrescono il senso di vulnerabilità dell’individuo e di conseguenza rinforzano l’iniziale reazione ansiosa inducendo una serie di risposte sfavorevoli, le quali a loro volta non fanno altro esasperare la valutazione del pericolo.
Con il termine “schema” si indica comunemente una struttura cognitiva. Due diversi tipi di informazione o di conoscenza vengono presi in considerazione a livello di schemi cognitivi: convinzioni e assunzioni. Le convinzioni sono affermazioni incondizionate sul sé e sul mondo (per es., “sono un perdente”, “sono una persona di poco valore”, “sono un debole”). Le assunzioni sono affermazioni più relative dal momento che rappresentano connessioni tra gli eventi esterni e le opinioni dell’individuo (per es., “se mi faccio vedere ansioso, le altre persone penseranno che sono un debole; avere pensieri negativi significa essere persone negative; sintomi fisici poco chiari sono solitamente segni di una malattia grave; se non riesco a controllare il mio stato d’ansia sono un completo fallimento“). Le convinzioni sono espresse tipicamente mediante asserzioni categoriche dell’individuo (“sono un perdente”), mentre le assunzioni vengono esplicitate in forma di proposizione “se-allora” (se mostro segni d’ansia, allora tutti mi eviteranno).Gli schemi dell’ansia contengono assunzioni e convinzioni inerenti le tematiche di minaccia che interessano specificamente la sfera personale dell’individuo e le sue capacità di fronteggiamento. Nei specifici disturbi d’ansia, sono presenti specifiche modalità di valutazione e specifici schemi che alimentano il disturbo medesimo.
Pensieri automatici negativi sono pensieri immediati a connotazione negativa, appena sotto la soglia della consapevolezza e quindi richiamabili alla coscienza. Essi si manifestano tramite concetti verbali o immagini visive e vengono giudicati credibili dalla persona che li esperisce. Nella Manifestazione d’ansia si possono distinguere diverse categorie di pensieri automatici negativi. In particolare, i pensieri automatici negativi si differenziano dalle preoccupazioni e dalle ossessioni. Le preoccupazioni sono una catena di pensieri gravosi diretti alla soluzione di problemi di natura prettamente verbale. Tuttavia, come detto precedentemente, i pensieri automatici negativi possono presentarsi sia in forma verbale sia mediante immagini visive. Le ossessioni sono generalmente di più breve durata rispetto alle preoccupazioni, ma rispetto a queste ultime e ai pensieri automatici negativi, sono fenomeni ego distonici, vissuti cioè come alieni, privi di significato ed estranei al concetto di sé. Nei modelli cognitivi dell’ansia, i pensieri automatici e le preoccupazioni sono il frutto della valutazione e della stima degli eventi esterni, mentre le ossessioni rappresentano pensieri intrusivi che diventano oggetto di analisi e valutazione da parte del soggetto.
Di fronte a una situazione ritenuta minacciosa, il nostro sistema cognitivo lancia, per così dire, una serie di allarmi inducendo incertezze, formulando dubbi e previsioni negative associate alle manifestazioni somatiche. Tali risposte fanno parte di reazioni primarie di sopravvivenza che orientano il comportamento verso la salvaguardia dell’individuo. In alcuni contesti, tuttavia, queste risposte possono peggiorare la situazione invece di migliorarla. Nell’ansia, oltre alle risposte automatiche e riflesse messe in luce dalla teoria degli schemi, le reazioni comportamentali, variamente e maggiormente caratterizzate, giocano un ruolo importante nel mantenere attivo il disturbo. Molte risposte cognitive e comportamentali di fronte alla minaccia riflettono piani di strategie eseguiti e modificati attivamente dall’individuo per far fronte al pericolo. Purtroppo alcune di queste risposte sono controproducenti, in quanto alimentano le preoccupazioni legate alla minaccia e impediscono la chiara disconferma di pensieri e di supposizioni disfunzionali. Per esempio, una persona con la fobia sociale, con la paura di balbettare o parlare in maniera incoerente in pubblico, concentrerà tutta la sua attenzione sulla prestazione verbale, passando in rassegna tutte le parole da dire. Si sforzerà, inoltre, di pronunciare le parole in maniera chiara e distinta e ripasserà mentalmente il materiale da verbalizzare, al fine di verificare correttezza della pronuncia. Questi comportamenti non manifesti rappresentano quelle che vengono chiamate “strategie protettive” e hanno lo scopo di prevenire le situazioni di disaggio. Le strategie protettive giocano ruolo significativo nel mantenimento dei disturbi ansiosi. Una persona che, per esempio, sta sperimentando un attacco di panico ed è convinta di dover affrontare una situazione per lei temuta (per es. uno svenimento) cercherà probabilmente di mettere in atto dei comportamenti finalizzati a prevenire quest’occorrenza, come sedersi e cercare di rilassarsi. Questo tipo di comportamento tende a mitigare i sintomi ansiosi ma, per contro, alimenta la convinzione circa i possibili esiti negativi dell’attacco di panico. La persona rinforza così il sistema di credenze secondo il quale in ogni attacco di panico c’è un’alta probabilità di svenire, piuttosto che confermare la propria convinzione erronea; di conseguenza, la sensazione di pericolo diviene più evidente.
Strategie protettive: